Wine Design
NON SI DEVE ANDARE IN CINA PER VENDERE IL VINO ITALIANO, SI DEVE ANDARE IN CINA A VENDERE L’ITALIA DEL VINO.
Tempo fa ho avuto una collaborazione con il POLIdesign del Politecnico di Milano, che organizza corsi specialistici e master post laurea.
Mi avevano chiesto di ideare un nuovo corso, e nell’ambito della riunione sparai lì una proposta: WINE DESIGN”. Era un periodo in cui
mi stavo occupando del progetto di vetrine refrigerate per il vino, e poi “wine design” suonava bene.
Un secondo dopo però mi ero già pentito di aver pronunciato quelle due parole, a parte la fascinazione che evocavano non riuscivo a collegarle a niente di concreto. “Che lavoro fai?” “il wine designer!”. “Figo! E cos’è?” “Beh, ecco…”.Speravo che la proposta cadesse nel vuoto,
e invece fu accettata, accidenti, adesso mi toccava lavorare parecchio per tentare di mettere insieme un programma che avesse un senso.
Il POLIdesign ha una collaborazione con un istituto culturale di Pechino con cui organizza in Italia dei master specialisti per ricchi architetti cinesi. Vista la mia frequentazione con la Cina si decide di integrare il loro master in questo del “Wine Design”, e si organizza una bella settimana a spasso per alcune zone del Nord Italia importanti per l’attività vitivinicola e per le bellezze storiche, artistiche e naturali.
A me piacciono i cinesi, ho imparato ad apprezzare la loro umanità profonda e discreta, lo splendore e saggezza della loro cucina, il loro pragmatismo talmente pragmatico da risultare metafisico, ma nell’organizzare questo giro delle meraviglie un pochino volevo umiliarli, devo ammetterlo, giusto appena un pochino, mostrando loro la magnificenza impareggiabile del nostro Paese.
Di didattico il nostro “master” ebbe ben poco, almeno non nel senso convenzionale del termine. Fu un passare da una emozione all’altra, da incredibili cantine a paesaggi mozzafiato, da castelli millenari a istituiti di studi enologici all’avanguardia, un percorso puntellato da shopping fastosi (loro) e degustazioni raffinate (molto più io di loro).
Insomma, un viaggio nel gusto e nella cultura, quella vera, sedimentata nelle pietre dei palazzi, nei suoni delle piazze, nelle devozioni dell’arte sacra, nei sapori unici, nei colori di una natura dolcemente addomesticata dall’uomo, nei modi di una civiltà che ha avuto ben duemilasettecento anni di tempo per diventare grande.
In Italia si fa un gran parlare del boom del vino in Cina, tutti vogliono andare là a venderlo, ma poi succederà che fra 15 anni tutti noi compreremo vino cinese; la terra direi che non gli manca, i mezzi figuriamoci, di determinazione ne hanno da vendere, è solo questione di tempo, quello tecnico per far sviluppare i vigneti.
In quel mio tour per località vitivinicole del Nord Italia ( ma quante altre stupende ci sono nel nostro Paese?) e nei visi effettivamente un po’ umiliati da tanta bellezza di quegli architetti cinesi io invece ho capito una cosa completamente diversa: non si deve andare in Cina per vendere il vino italiano, si deve andare in Cina a vendere l’Italia del vino.
Dobbiamo portarli qui per fargli capire la differenza fra avere dei vigneti e avere il Chianti, la Franciacorta, le Langhe, le terre dei vini siciliani, per fargli venire sete di Italia, dell’Italia che è anche dentro una bottiglia di vino. Questo è l’unico modo sicuro e durevole per tenere a una ragguardevole distanza di sicurezza chiunque provi a superarci.
Avevo trovato il senso del “Wine Design”.
ARTICOLO SULLA RIVISTA SALA& CUCINA – AUTORE: MASSIMO MUSSAPI
Febbraio 2019
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