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8 risposte

Quanto segue è un’intervista pubblicata nel 2008 nel libro “Interior Designers Say” della casa editrice Liaoning Science &Technology Publishing House di Shenyang, China. 

E’ un po’ lunga, ma ho ritenuto di pubblicarla perché mi ci ritrovo ancora in pieno (salvo all’ottava “ripresa”, che è un po’ datata)  e mi ha divertito molto farla.

1 – Il “crossover” (ibridazione di diverse discipline) oggi è una pratica molto popolare in diversi settori del design.
Qual è il suo punto di vista in merito a questo tema? Tale elemento è presente nel suo lavoro?

Questa domanda coinvolge il discorso sulla specializzazione. Personalmente sono molto contrario alla specializzazione nella mia professione, preferisco parlare di “competenze specifiche”. La specializzazione inaridisce la sorgente delle idee, le idee arrivano dal confronto con situazioni ed esperienze diverse, passano da un progetto all’altro all’altro attraverso una “trasfusione”. Mi capita ad esempio di fare uffici più accoglienti e “caldi” delle abitazioni, dove si lavora più volentieri, perchè si vive molto più nei posti di lavoro che in casa. Ho progettato un ristorante coi criteri di un ufficio contemporaneo ad alta flessibilità,  perché c’era bisogno di poter modificare lo spazio 4 volte al giorno. Ho fatto abitazioni con la logica progettuale del teatro, cioè che cambiano scenario” con pareti mobili a seconda delle esigenze, perchè gli spazi di abitazione oggi sono piccoli.

La “trasfusione” fa bene alla progettazione, la “contaminazione” invece no, è una brutta cosa, proprio come nella medicina. La parola “contaminazione”, molto di moda,  mi fa giustamente orrore. Anche la parola “nomadismo”, molto di moda, che è pericolosamente vicina al concetto di “Crossover”. Essere nomadi, senza un posto dove stare, è da sfigati, come fa a essere “trendy”?

2 – Materiali avanzati ed eco-compatibili oggi hanno raggiunto molta popolarità. Questi materiali sono spesso utilizzati nell’interior design? Qual è l’opinione comune più diffusa in merito a tale questione?

L’ecologia e il riciclaggio sono il grande business del futuro, anzi del presente. Come tutti i business, è pieno di bugie. Quanto costa riciclare una bottiglia di vetro, per fare un’altra bottiglia di vetro uguale alla prima? E’ una questione molto seria, si comincerà a cambiare veramente quando si ridurranno molto i consumi, quando le cose verranno riusate più volte e, quando verranno riparate se si rompono.

Personalmente sono troppo giovane per aver goduto in pieno e senza rimorsi dei vantaggi del consumismo ma non abbastanza per mettermi a fare l’ecologista, e la cosa mi secca parecchio. Comunque per fortuna ci sono molti giovani sensibili a questi argomenti, e hanno ragione. Invece davanti ai materiali innovativi perdo la testa, è una vera passione insana. 

3 – Potrebbe dirci la sua opinione riguardo all’utilizzo di elementi fashion e di tendenza nell’interior design?
Come utilizza tali elementi per esprimere la propria creatività in fase di progettazione?

Sinceramente penso che la moda è un veleno che ha contaminato molti altri ambiti della società, incluso il design.
Non è vero che la moda è trasformazione, mutamento. Al contrario, la  moda, come lo stile, vuole fissare il tempo nell’attimo fuggente. La moda rimane in superficie e ha paura della vita.

C’è qualcosa di molto meglio, e cioè “essere contemporaneo”. Solo ciò che è contemporaneo può  sperare di diventare classico; le generazioni future riconoscono in ciò che è contemporaneo  gli elementi profondi e permanenti dello spirito umano, e guardano al passato e al mutamento come qualcosa di vivo e felice. La moda invece, come lo stile, invecchia e muore subito, ed è molto triste.

4 – L’attenzione al dettaglio spesso determina il risultato finale: cosa ne pensa di questo aspetto?

Che cosa si direbbe di un chirurgo che non è preciso? (tagliamo qua, anzi, là, cos’è questo? ah, un rene...)

Precisione vuol dire dettagli, e un progetto è fatto di dettagli. Dare assoluta importanza ai dettagli significa voler sapere come funzionano veramente le cose, vuol dire essere persone curiose, consapevoli e responsabili, e con una grande passione per il proprio lavoro. 

A me piace molto l’essenzialità, e quando un progetto è essenziale il dettaglio diventa ancora più importante, e anche lui deve essere essenziale, e fare dettagli essenziali è una cosa davvero molto difficile, ma quando ci riesco è anche un grande piacere. Non ci si può fidare di chi non dà importanza ai dettagli, le donne lo sanno molto bene. Naturalmente perdersi nei dettagli è un’altra cosa, si chiama essere idioti. Ma questo è solo un dettaglio.

5 – Come riesce a bilanciare gli aspetti pratici/funzionali e quelli artistici nel disegno di uno spazio?

 

Questa domanda chiama in causa un questione molto antica, cioè il presunto antagonismo conflittuale fra forma e funzione, fra ciò che è bello e ciò che è utile. Questa questione l’hanno inventata i filosofi della Antica Grecia, e si trascina ancora ai nostri giorni. Bisogna sapere però che questi filosofi non avevano assolutamente nulla da fare tutto il giorno, e vivendo in questo modo così noioso si finisce col perdere la lucidità mentale e un sano rapporto con la realtà. La mente comincia a vacillare, interessandosi di questioni completamente vane. Se questo viene fatto con molta serietà, addirittura con sofferenza interiore (è una vera malattia della mente) capita spesso che questi poveretti trovano altre persone che gli danno retta. Ecco perché  ancora oggi ci sono persone molto rispettabili che si fanno queste domande.

In realtà questa presunta conflittualità dualistica fra ciò che è bello e ciò che è utile, fra forma e funzione, semplicemente non esiste.

E’ un falso problema. Un quadro di Picasso è bello o utile? una sedia di Charles Eames è utile o bella?
Una domanda seria invece è: ma perché farsi queste domande?

6 – Come riesce a bilanciare il proprio approccio progettuale con le esigenze dei clienti?

Molto spesso il cliente mi chiede con molta sicurezza di fare esattamente quello che non va assolutamente bene per lui, e la situazione si fa subito difficile. Ci sono poi clienti che  ti sfidano, gli dà molto fastidio che sei bravo, tu sei un concorrente da battere, non vogliono che gli risolvi i problemi ma vogliono che gli dai sempre ragione, ma devi dargli ragione quando lo decidono loro. Che fare? fra le varie strategie la peggiore è usare argomenti ragionevoli. La logica e il buon senso infastidiscono il cliente. Se vuoi ottenere lo scopo, cioè prima di tutto fare il suo interesse, devi raggirarlo. Ad esempio devi fargli credere che le tue bellissime idee sono venute in mente a lui, non a te (è incredibile come ci credono subito) così non possono più dire che il progetto non gli piace. Del resto tutta l’arte è così, raggira la realtà, ma a fin di bene, non ha scelta. Ma mi è capitato anche di buttar fuori un cliente dallo studio.

7- Da designer di successo, qual è nella sua opinione la qualità professionale più importante?

Prima di tutto bisogna mettersi d’accordo sul significato della parola “successo” nella nostra professione. Notorietà? soldi? incarichi importanti?

Sì, ma solo perché questo crea le condizioni per lavorare meglio, con più risorse, più autorevolezza e più possibilità di scelta. A parte questo, per me il successo è raggiungere gli obiettivi prioritari del progetto, che ogni volta sono sempre diversi, e molto spesso l’obiettivo prioritario di un progetto è semplicemente riuscire a farlo. Da questo punto di vista, per avere successo ci vuole uno strumento fondamentale, che è il metodo di progettazione; poi ci vuole passione e tenacia, e soprattutto non dare mai niente per scontato. Progettare infatti non è creare, progettare è scoprire, la soluzione di un problema bisogna cercarla all’interno del problema, non fuori.

8 – Quale progetto le ha dato recentemente più soddisfazioni? A quali aspetti ha dato più rilievo?

Il progetto recente che mi ha dato più soddisfazione è stato quello del Globe, che oggi grazie anche al mio lavoro è il più importante ristorante di Milano. Ad essere sincero è già una grande soddisfazione essere riuscito a farlo, perchè le difficoltà sono state tantissime. A parte questo, la gente dice che qui si sente bene,  e questo per Milano dove sono tutti nevrotici è un grande complimento.

Progettare un ristorante è un lavoro minore e pure molto rognoso. Un ristorante infatti è insieme un’attività produttiva, commerciale, sociale e  culturale, stressata da grosse esigenze normative e impiantistiche, e tutto deve funzionare e deve avere coerenza. Quasi sempre un ristorante è una pura scenografia, un teatro dove si finge di essere in un altro posto: nel far-west, in Irlanda, in Giappone...

Io trovo questo molto imbarazzante, e inquietante, è lo specchio di una società che vive di simulacri. Al contrario, io penso che, anche se minore, un ristorante è comunque un’architettura, e una architettura deve essere sincera, e poi si tratta di un’architettura pubblica che entra in contatto con migliaia di persone, e quindi è una opportunità straordinaria per divulgare l’identità culturale di un popolo in modo pacifico e piacevole.

Dieci anni fa ho progettato un edificio a Taichung, Taiwan. Un giorno sono passato da quelle parti e  ho visto due ragazzine che facevano le foto a questo palazzo. Ho chiesto se erano studentesse di architettura, mi hanno risposto di no.

Recentemente ho fatto un progetto abbastanza importante e complesso. Il ragazzo che ha seguito questo progetto con me era molto

giovane e al suo primo lavoro, quando è arrivato nel mio studio non sapeva fare assolutamente nulla. Alla fine di questo progetto ho portato lui e il suoi disegni all’istituto di Design dove insegno, come esempio per tutti. La soddisfazione in questo caso è stata sua, e questa è stata

la mia soddisfazione.

© 2021 Massimo Mussapi

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