Lezioni di vita
"Nel 1990 entrai in finale all’unico concorso di Architettura della mia vita (poi si capirà perché rimase l’unico):
“UNA FONTANA PER PIAZZA PIEMONTE,
A Milano".

LEZIONE N.1
Il concorso, presentato in pompa magna dal sindaco Pillitteri (cognato di Craxi) gestito dalla SINETICA (società di un certo Aniasi, parente stretto dell’ex sindaco socialista) e con tutte le benedizioni (Patrocinio dall’Ordine degli Architetti, Patrocinio del Comune di Milano, in commissione Cesare Stevan, preside della Facoltà di Architettura, anch’egli socialista ecc.) prometteva che il progetto vincitore sarebbe stato realizzato al centro della piazza, al posto di un’aiuola con un alberello stentato. Il concorso era riservato ad architetti di nazionalità italiana, di età non superiore a 40 anni e iscritti all’Ordine di Milano.
Vinse il progetto di Alzek Misheff, bulgaro, non architetto, cinquantenne, fatto a due mani con la moglie architetto.
LEZIONE N.2
Io ero entrato in finale e naturalmente ero molto seccato, perché ritenevo che il mio progetto in condizioni normali avrebbe potuto vincere. In effetti aveva il suo perché, in quanto concepito per girarci intorno in auto in quella che, lungi da essere una piazza, è una rotatoria automobilistica. Il progetto prevedeva due alte pareti simmetriche contrapposte, a forma di trapezio rovesciato, che girandoci intorno con l’auto sembravano “allargarsi” e aprirsi rivelando un unico alto getto d’acqua, come fosse una montagna spaccata dalla forza dell’acqua sorgiva.
Chiesi a un amico, bravo architetto, cosa ne pensava, e lui molto onestamente disse che non gli piaceva molto, perché, a suo parere, una fontana dovrebbe essere fatta soprattutto d’acqua, non di muri. E penso avesse ragione.
LEZIONE N.3
Il progetto non fu mai realizzato, A bloccarlo fu l’allora assessore Massimo De Carolis che sostenne, a ragione, che la manutenzione dei 365 getti d’acqua previsti dal progetto vincitore sarebbe stata troppo onerosa, e quindi trascurata. Perché questo semplice ragionamento non fu fatto dalla commissione giudicatrice? In ogni caso, l’alberello è ancora lì, simbolo di ciò che stenta ma non cambia.